Sono Gilda Binetti, candidata per il PD al Senato della Repubblica.
Annotazioni
da una militanza intempestiva e necessaria.
Ho
quasi cinquant'anni, e da 5 aderisco consapevolmente a un
partito politico. Sapendo bene che la militanza ha un costo esondante
per la mia vita privata e lavorativa, e che i partiti sono in questi
anni l'ambito collettivo più screditato.

Non
è gratificante. La politica non è gratificante, almeno se la vivi
rinunciando consapevolmente a usare la strumentazione che porta al
successo, essenzialmente un mix di sfrontatezza e servilismo, e provi
a mettere in campo quello che vorresti fosse il modo di essere di chi
ci governa, a tenere alto il senso critico pur nella lealtà di un
impegno. Rischi di essere confinato nella testimonianza, di essere
inessenziale, di essere la foglia di fico che copre la persistenza
dei meccanismi di potere. Però
non conosco un altro metodo che non sia la partecipazione. Per
cambiare non solo i volti ma i metodi della politica bisogna esserci,
bisogna occupare gli spazi, incalzare i santuari chiusi del potere.
Non è agevole: ci si scontra con una organizzazione impeccabile e
con l'uso sapiente della menzogna, ma la posta in gioco è alta, ne
va del futuro prossimo del paese in cui viviamo, della possibilità
concreta di rimanere nell'alveo della parte di mondo migliore. Non
tanto perché abbia un reddito spendibile più alto per un maggior
numero di persone, ma perché ha fatto proprie alcune istanze che
determinano quella che chiamiamo qualità della vita, forse civiltà:
riconciliazione tra l'uomo e l'ambiente, cura del mondo, una
dotazione di diritti individuali, la persistenza dell'idea di
comunità.
Questo
corredo è a rischio, minacciato da trent'anni di predominanza
ideologica dell'individualismo più sfrenato e irresponsabile, che
porta oggi a un bivio pericoloso: da una parte può continuare il
sistematico sfruttamento messo in atto dell'illusionismo
berlusconiano, che solletica e legittima tutto ciò di cui è giusto
vergognarsi: il piccolo tornaconto personale, la speranza di stare
meglio oggi e da soli indipendentemente dalle conseguenze per gli
altri e per il futuro. Dall'altra la tentazione di buttare il tavolo
per aria, di fare una rivoluzione indipendentemente da chi e come si
riproporrà un governo del paese. Troppo fresca è l'esperienza delle
primavere magrebine per poter accantonare i rischi di una involuzione
democratica, per potersi affidare ancora ad un nuovo messia, seppur
con altri accenti. Che tutto cambi, che si distrugga il sistema: è
una pericolosa illusione, perché il vuoto di governo, ci insegna
tragicamente la storia, apre sempre le porte a chi sa Riempire quel
vuoto di potere con la furbizia e la forza. Non serve andare troppo
lontano, basta guardare alla stessa Europa contemporanea, alla
nascita delle oligarchie economiche nei paesi dell'est del post '89,
all'economia canaglia diventata potere politico proprio nell'ebbrezza
della distruzione del sistema. Con tutto il corredo di nuove povertà
e nuove schiavitù, di cui soprattutto le donne, le donne povere, le
donne attanagliate dal bisogno, le donne sfruttate, sono tragica
testimonianza.
Viviamo
in un'Italia ingiusta, immobile e corrotta, ma che ancora ha in sè
la possibilità di invertire la rotta. C'è l'ha soprattutto grazie
ai suoi giovani, alle sue donne, figli di una generazione imperfetta
ma pure costruttiva. Sembra una follia oggi pensare che il voto alle
donne è una previsione normativa del secondo dopoguerra, che alcune
professioni erano interdette di fatto e di diritto, che un
femminicidio potesse non essere punito in quanto delitto d'onore.
L'idea di un diverso trattamento dei cittadini e di un diverso
corredo dei diritti di genere ė archiviata del tutto dalle nuove
generazioni.
Io
appartengo a quella generazione di mezzo, di quelle che il mondo
delle madri, protetto, per poche fortunate e chiuso per la
maggioranza, era una cosa d'altri tempi, ma sentivamo ancora come
fatto ordinario della nostra vita occuparci delle camicie dei mariti.
Non è così per mia figlia: in vent'anni è cresciuta una
generazione aperta, proiettata sul mondo, e vallo a dire a una di
loro che ci sono vincoli a viaggiare, a seguire la strada che si
ritiene propria, a considerare l'autonomia come dato meno che
assoluto!
Il
mondo, grazie alle donne, è cambiato in meglio. Ma nel nostro paese
sono ancora troppi gli ostacoli all'effetto a uguaglianza delle
opportunità, che è poi la precondizione della libertà.
Crescono
le diseguaglianze, e si radicano. Viviamo in Un paese in cui la
mobilità sociale è ormai un ricordo degli anni del boom, in cui si
rinuncia a migliorarsi perché le aspettative che il lavoro e lo
studio generano sono frustrate dalla crisi economica ma ancor più
dalla deriva morale che un po' ha anche fare con difetti atavici e
molto con il massaggio devastante incarnato dalle classi dirigenti
negli ultimi dieci. Un paese che non cresce economicamente perché
distrugge il territorio, non usa i tesori che ha, fa poca ricerca, ha
un numero di laureati che è la metà degli obiettivi europei. Un
paese che non fa figli, perché non ha servizi alla famiglia, non ha
gli asili nido, ha scuole fatiscenti, vede azzerarsi i budget per il
supporto ai non autosufficienti. Un paese in cui il costo della
macchina dello stato e il doppio della media europea e gli
stanziamenti per l'istruzione sono di un terzo inferiori.
Ci
sta bene così? Ovviamente no. Ecco allora che la politica diventa
essenziale, perche se non ci sei ti condiziona molto piu che
partecipando, ti schiaccia. la politica se non la fai la subisci. E
allora bisogna sporcarsi le mani, provare a smottare il sistema di
potere della cosa pubblica che si auto conserva a danno di tutti. Non
è un caso che la politica sia ormai l'unico ambito della vita
collettiva in cui persiste la sotto rappresentanza delle donne.
Perché più donne significano menti nuove alla guida dei processi,
significano un altro punto di vista con cui confrontarsi. Significano
per la politica la possibilità concreta che si inneschi un processo
fisiologico di ricambio nelle posizioni di responsabilità e potere.
Questo spaventa, ma è ormai ineludibile. Si pone un'altra sfida:
esserci contando e cambiando. È' la parte più difficile, perché il
sistema politico procede essenzialmente per cooptazione (5stelle,
che invoca la democrazia diretta, ha fatto scegliere i rappresentanti
di 40 milioni di abitanti da appena 38mila persone!) e il prezzo
della cooptazione è spesso una autonomia limitata.
Tra
due giorni si vota. Sarà un voto determinante, e dispiace che tanta
parte della cittadinanza intenda rinunciare a partecipare, perché le
tre strade davanti a noi possono veramente cambiare il paese.
Semplifico, certo, ma abbiamo fondamentalmente tre scelte: lasciare
tutto così com'è, distruggere, o provare a cambiare. Io credo nel
riformismo radicale come metodo e nell'uguaglianza come valore. Credo
nella concreta possibilità di cambiare il nostro sistema di valori
come condizione per cambiare il modo con cui si amministra la cosa
pubblica. Credo che solo accantonando l'idea di un consumo
indiscriminato si possa ricostruire un ambiente da consegnare in
eredità ai nostri figli. Solo investendo in istruzione e ricerca si
possa cambiare il modello di industrializzazione italiano,
accantonando per sempre l'idea che portò all'Ilva e a bagnoli, ma
pure ai quartieri dormitorio delle città, frutto di puro
accaparramento di suolo e rendita parassitaria.
Non
penso ci siano ricette miracolose per il recupero dell'evasione
fiscale o per la riduzione degli sprechi. Ci sono però modalità
praticabili, anche grazie alla tecnologia, per un governo della spesa
pubblica. Ci sono scelte da fare: mettiamo le risorse a disposizione
dei servizi pubblici o no? Promettiamo opere faraoniche o investiamo
in una capillare riqualificazione del territorio grazie a una
politica di manutenzione del patrimonio? Contiamo a permettere il
consumo di suolo o riqualifichiamo il tessuto edilizio delle mille
cittadine di pregio che ci sono in Italia? Trivelliamo o incentiviamo
cogenerazione e rinnovabili? Sono scelte di politica e di civiltà.
Senza un governo non verranno fatte. Da un governo che non crede nel
valore della comunità non verranno fatte. Da uomini e donne senza
scrupoli non verranno fatte. Sta a noi cambiare uomini, azioni,
politiche. tendendo alta la soglia critica al potere, ma
partecipando, accettando la sfida difficile del governo.